Sta per imbrunire: toc, toc, toc…, I Caldarotti stanno per svuotarsi, le donne rientrano nelle case per preparare la cena, mentre gli uomini si apprestano a organizzare frettolosamente le attrezzature da utilizzare l’indomani per il lavoro.
Le genti si salutano nella speranza che Santa Maria possa consentire loro di vivere un domani migliore e nel mentre le tenue lampade del quartiere iniziano ad accendersi. Gli odori delle pietanze che fuoriescono dalle case si mescolano e si confondono con l’aiuto della brezza serale.
Ecco la frase che chiudeva sempre la scena: “Rosì, chi pripari stasira? Dua ova!”. Da quel momento in poi gli unici rumori che si sentivano nei Caldarotti era il chiacchiericcio che proveniva dalle case e il lento passo di una persona che risaliva il quartiere per recarsi a pregare nell’area ove un giorno era ubicata la chiesa di San Rocco.
Lo faceva tutte le sere prima di addormentarsi. Donna non molto alta, vestiva sempre con gli stessi abiti trasandati: gonna, camicia, gilet e scialle in tinta nera. In testa portava un fazzoletto nero strappato in più parti, mentre ai piedi aveva incessantemente ciabatte con tacco di legno.
Era proprio il rumore del legno usurato delle sue ciabatte che sbattendo sul selciato delle “vinelle” generava il rumore d’allerta.
Tutte le sera questa signora, che traportava sempre un secchio di legno tarlato, che all’andata perdeva di continuo un liquido nauseabondo, attraversava il quartiere per recarsi, come lo definiva lei, dal suo unico amico/parente (San Rocco). Il rumore delle ciabatte ha fissato, per molti anni e per molti caldarottiani, il passaggio dal giorno alla notte.
Ma per i più “altolocati” del quartiere quel rumore indicava l’arrivo del diavolo, perché rappresentava la comparsa dell’innominabile. Questi pseudo signori e le loro famiglie si sigillavano in casa per non aver nessuna possibilità di rapporto con Lei.
Costretta dai suoi poveri genitori, per mancanza di denaro, a trasformarsi in una sorte di “suora in casa (monaca bizzoca)”. Lei era una persona bravissima, religiosissima e durante le sue lunghissime litanie non dimenticava mai di ripetere che la chiesa di San Rocco storicamente era allocata, anche a Motta, come in altri luoghi, ai piedi della chiesa di San Maria.
Lei, questa piccola grande donna che è riuscita a sopravvivere, negli ultimi anni della sua vita, nell’indigenza e nella cattiveria umana è morta nella totale solitudine e povertà e con un tarlo in testa: non aver visto mai iniziare i lavori per la ricostruzione della chiesa del Santo molto caro ai mottesi.
Si raccontava che alla sua morte, la donna avesse addosso solo le immagini dei Santi protettori delle “Genti dei Caldarotti”.