Una delle pratiche produttive più diffuse a Motta era l’allevamento del baco da seta. Pratica che veniva prevalentemente realizzata nelle campagne, ma anche in alcuni sotto tetti del paese.
“U Cucullaru”, come veniva chiamato il luogo dove venivano allevati i bachi, necessitava comunque di luoghi caldi e ben esposti al sole e soprattutto di luoghi dove vi era la possibilità di approvvigionare l’elemento nutritivo per il baco, le foglie di gelso.
La famiglia più accreditata per l’allevamento del baco da seta a Motta era quella dei “Vallanu” (diverse generazioni dei “Vallanu” si erano tramandate in più secoli le loro giuste conoscenze su questo tipo di attività).
La notte sta per prendere il sopravvento, il cielo è uggioso e l’aria gelida portata dalla tramontana sta spazzando via tutto.
In inverno il termine delle giornate lavorative nei Caldarotti è segnato prevalentemente dai pesanti bracieri in rame ripieni di carboni ardenti collocati lungo le “vinelle”. Maggiore è il numero di fiammelle accese davanti agli ingressi delle case e più numerose sono le famiglie tornate al proprio alloggio per consumare la cena e affrontare la notte.
Dopo una lesta cena fatta prevalentemente da ortaggi e prodotti ricavati dal maiale, tutti vicino all’unica fonte di calore della casa per raccontare cosa era accaduto durante la giornata, o di "storie passate”. Che bello il poggiapiedi in legno che solleva da terra il braciere e che ci consente di stare in cerchio uno accanto all’altro.
Quanti racconti, quante fantasie, ma che divertimento e che socializzazione. Giovanni seduto davanti al braciere, sopra una sedia di legno, con il sedile impagliato ricoperto da un morbido cuscino di lana riciclata e con le “sazizze alle gambe” rammentava spesso il passato dei suoi familiari e soprattutto ricordava il momento in cui partiva la campagna per l’approvvigionamento delle scorte primaverile (così definiva il momento della produzione degli insaccati)” e il lavoro immenso che sopportava sua nonna con la CERCINA in testa.
Giovanni raccontava che durante il periodo della produzione dei salumi si poteva ammirare la perfetta organizzazione spontanea degli uomini e delle donne dei Caldarotti: "sembravano dei militari in permesso richiamati di corsa in servizio. I gruppi costituiti prevalentemente da consanguinei erano ben divisi per fasce d’età. Per rendere al meglio l’operazione, che andava fatta al massimo in cinque giorni, era necessaria la collaborazione di tutti (dai bambini agli anziani). Da questo spontaneo raggruppamento di forze erano però esentate le Sarcinelle (donne con le CERCINE), perché loro necessitavano per l’approvvigionamento di legna e acqua".
Subito dopo la fine di questa frase iniziava a parlare delle Sarcinelle: "erano alte, robuste e decise ed erano capaci di fare diversi lunghi viaggi al giorno con considerevoli pesi sulla testa".
A Motta, le più preparate erano: Elvira, Maria, Antonietta, Rosina e Rachele.
Queste donne, come altre di Motta e Rovito, conducevano una vita eccessivamente sacrificata. Per evitare alcuni cattivi proprietari terrieri partivano spesso di notte, soprattutto in inverno inoltrato, per raggiungere, prima del chiarore mattutino, il punto più alto del sentiero che portava verso Monte Scuro.
Ai primi bagliori del giorno iniziavano la scesa verso casa raccogliendo legna per creare una fascina (sarcinella), sempre più pesante man mano che la distanza dalla loro abitazione si riduceva.
Queste donne erano anche quelle che portavano a lavare, alla rete idrica naturale di Rovito ( "Funtana lassutta (Furmicusu)", “Pantano e monaco” e “Jumaralampede”), sia enormi “cistelle” ripiene di panni sporchi e sia “e stendina” del maiale.
Questo ricordo è dedicato alle mitiche donne mottesi per gli enormi sacrifici fatti per il bene delle loro famiglie.