Una delle pratiche produttive più diffuse a Motta era l’allevamento del baco da seta.
Pratica che veniva prevalentemente realizzata nelle campagne, ma anche in alcuni sotto tetti del paese.
“U Cucullaru”, come veniva chiamato il luogo dove venivano allevati i bachi, necessitava comunque di luoghi caldi e ben esposti al sole e soprattutto di luoghi dove vi era la possibilità di approvvigionare l’elemento nutritivo per il baco, le foglie di gelso.
La famiglia più accreditata per l’allevamento del baco da seta a Motta era quella dei “Vallanu” (diverse generazioni dei “Vallanu” si erano tramandate in più secoli le loro giuste conoscenze su questo tipo di attività).
Negli ultimi anni della loro attività lavorativa questo nucleo familiare gestiva, per conto della famiglia Arnedos, l’allevamento situato su una proprietà terriera vicina al vecchio bivio per Rovito. In cambio i “signori mottesi” (o meglio i loro fattori) ricevevano un terzo dei prodotti agricoli, diversi capi di bestiame all’anno e l’intera produzione dei bozzoli.
Gli involucri serici, collocati successivamente in un magazzino di Motta, venivano ceduti, per la trasformazione, alla filanda di San Pietro in Guarano. L’unico controllo che i “ricchi signori mottesi” avevano sulle loro proprietà era una visita mensile (nei periodi estivi) in aree ben definite.
Ai “Vallanu” e ai loro vicini toccava il primo venerdì del mese nell’”area del grano”: uno spazio pianeggiante lasciato libero dalle attività agricole e utilizzato per la battitura del grano prima e per le trebbiatrici dopo. In quell’occasione i contadini vestiti a festa venivano raggiunti dall’Arnedos e dalla sua consorte su una sfavillante carrozza trainata da due stupendi cavalli sauri.
I consorti, quasi sempre, scendevano dalla carrozza e familiarizzavano con i loro dipendenti, stringendo mani e chiedendo del loro stato di salute.
Amalia dei Vallanu, ragazzina dal fisico minuto, carina e felice aveva il compito di alimentare, in fase larvale, i bachi con fresche foglie di gelso. Amalia cercava di essere presente agli incontri dell’area del grano. Non mancava mai, anche quando le condizioni fisiche non glielo consentivano.
Per lei osservare la leggerezza dei movimenti della signora degli Arnedos, i suoi stupendi abiti colorati e la sfavillante carrozza era diventato motivo di sogno. Durante la giornata non faceva altro che sognare, soprattutto quando con lo sguardo incrociava stupendi esemplari di farfalla, la splendida carrozza.
La giovinezza di Amalia non fu però felice come l’infanzia. Negli anni la giovane donna dovette assistere a diversi, per lei, eventi negativi, tra i quali: il tracollo economico e sociale degli Arnedos, la distruzione del “Cucullaro”, le angherie del fattore diventato padrone, l’allontanamento dei suoi familiari dal terreno che gestivano e il trasloco nell’abitato di Motta.
Amalia sposò giovanissima per amore un giovane e carino vedovo mottese, proprietario del fabbricato dove un tempo veniva custodita la bellissima e sfavillante carrozza degli Arnedos. Amalia donna amatissima da molti mottesi (la sua casa di S. Nicola, come lo spazio sotto il pergolato, era un ottimo punto di ritrovo per tanti) raccontava spesso con ironia che il suo sogno della vita si è realizzato solo in parte: non sono diventata farfalla, ma solo “cucullu” (crisalide) e non ho avuto la carrozza, ma a ogni buon conto ho avuto la rimessa della carrozza! Ad Amalia, farfalla per sempre!