Rovito è conosciuta in tutto il mondo per la fucilazione dei fratelli Bandiera, la cui impresa eroica ma priva di un’attenta e minuziosa preparazione, si concluse tragicamente nel ormai tristemente famoso Vallone di Rovito.
Era il 25 luglio 1844 quando all’alba, in quel luogo, furono fucilati insieme ad altri sette compagni, i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, figli del barone Francesco, alto ufficiale della marina austriaca, e di Anna Marsich, donna e madre che tanto si prodigò per la salvezza dei suoi amati figlioli.
Attilio era nato nel 1810, mentre Emilio era arrivato 9 anni dopo. Avviati alla carriera militare e formati nell’accademia della Imperiale Regia Marina a Venezia, furono da sempre insofferenti al regime austriaco.
Collegati alla Giovane Italia e a Giuseppe Mazzini, i fratelli rivoluzionari, esuli e lontani dal proprio paese, ordirono due progetti di cospirazione: il primo prevedeva l’invasione degli Stati Romani, l’altro le Calabrie.
Scartato il primo perchè troppo dispendioso, optarono per il secondo, perché dall’Italia erano giunte notizie che sulle montagne di Cosenza, gli insorti si mantenessero ancora numerosi ed armati, e nel resto del Mezzogiorno serpeggiasse un certo fermento. In realtà i moti di Cosenza erano stati immediatamente soffocati e repressi e tutto era tornato sotto controllo.
I rivoltosi, accecati dal giovanile fervore rivoluzionario, decisero di partire comunque per la Calabria. Saliti in 21 a bordo della nave da pesca e trasporto San Spiridione, un vero e proprio trabiccolo comandato dal capitano Caputi, salparono dall’isola greca di Corfù e verso la metà di giugno sbarcarono a Crotone, alla foce del fiume Neto.
Da qui, notte tempo, si diressero verso la Sila, ma ben presto si accorsero che un loro compagno, Pietro Boccheciampe, si era dileguato con l’obiettivo di denunciare la spedizione alle autorità borboniche e, quindi, di tradirli.
Nei giorni successivi, la spedizione fu colpita da diverse azioni repressive, al punto che diversi compagni dei Bandiera persero la vita, mentre altri rimasero feriti. A San Giovanni in Fiore, dodici di essi furono catturati e condotti davanti al corpo di guardia. Il 23 giugno, su cavalli e muli, furono trasferiti a Cosenza, davanti all’intendenza e portati nelle carceri nel maestoso Palazzo Arnone.
Il processo fu rapido, l’imputazione principale: cospirazione e attentato all’ordine pubblico. Ad essa si aggiunsero anche le accuse di sbarco furtivo a mano armata nel regno con Bandiera Tricolore, resistenza e attacco alla forza pubblica. Nonché, detenzione e asportazione di carte rivoltose e settarie. Loro avvocati difensori nominati d’ufficio furono Cesare Marini, Tommaso Ortale e Gaetano Bova tre ‘giganti’ del foro cosentino. Il 16 luglio iniziò il processo, alla fine del quale il Commissario del re li dichiarò colpevoli di lesa maestà e richiese per tutti la pena capitale.
Tre di loro ottennero la grazia e tra di essi c’era anche il pittore e scultore Giuseppe Pacchioni, che ritrasse i fratelli Bandiera poco prima di morire. Diversi anni dopo, lo stesso Pacchioni realizzò la scultura in marmo bianco che rappresenta la Libertà d’Italia, ancora oggi visibile in piazza XV Marzo nel centro storico di Cosenza. Il 25 luglio del 1844 di buon mattino, si spalancarono le porte delle carceri.
Era giunto il momento dell’esecuzione della sentenza. Il triste corteo si dispose su due file, per raggiungere il Vallone di Rovito. Ad un tratto si alzò un coro di voci, erano i martiri che intonarono, modificando qualche verso, il coro dell’opera “Donna Caritea” del Mercadante: ”Chi per la patria muore vissuto è assai; la fronda dell’allor non langue mai. Piuttosto che languir sotto i Tiranni, è meglio di morir sul fior degli anni”. Arrivati nel vallone di Rovito, nei pressi dell’acquedotto romano, i giovani patrioti si schierarono davanti al plotone d’esecuzione e, dopo aver urlato “Viva L’Italia “, caddero sotto il fuoco dei Borboni.
Le salme vennero portate nella vicina chiesa degli Agostiniani. Si racconta che l’abate De Rose collocò all’interno delle bare, una bottiglia contenente un foglio di carta, con tutte le generalità di ciascuno. Ciò rese possibile il riconoscimento, quando fecero l’esumazione.
Successivamente, le salme furono trasferite nel duomo di Cosenza e dopo l’unità d’Italia, traslate nei paesi d’origine. I resti di Attilio ed Emilio, il 16 giugno del 1867 furono trasportati a Venezia, accolti dalla madre affranta e disperata e tumulati nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo.
Nel 1860, nel Vallone di Rovito, era stata eretta una colonna votiva. Nel 1937, l’amministrazione comunale di Cosenza fece realizzare un piccolo altare con i nomi dei martiri incisi su marmo. In occasione del 150°anniversario dell’Unità d’Italia, il sito storico è stato recuperato e valorizzato, eretta una cinta murata e i piccoli pilastri. E’ stato installato, inoltre, un impianto d’illuminazione che riprende i colori della bandiera italiana. Intorno è realizzato un parco, sul territorio compreso tra il vecchio ponte delle Ferrovie della Calabria e le arcate dell’acquedotto romano. Su tutto svettano 9 cipressi a sigaretta, che ombreggiano il monumento e ricordano i 9 fucilati.
Nell’anno 2000 l’Amministrazione Comunale di Rovito, dal canto suo, ha dedicato ai fratelli veneziani un busto bronzeo collocato in una piazza ad essi dedicata.
Una emozionante e significativa rievocazione storica del processo e della esecuzione dei Fratelli Bandiera, è stata organizzata proprio a Rovito dalla nostra Pro Loco il 23 settembre del 1918, ultimo appuntamento di un cartellone di iniziative dedicate alle due importanti figure del Risorgimento Italiano.
Il corteo storico, partito da Piazza San Nicola di Motta, ha registrato la partecipazione corale dell’intera comunità rovitese e si è snodato per le vie del paese fino alla piazza intitolata ai due martiri.
La marcia silenziosa, accompagnata da figuranti vestiti con abiti d’epoca e dal suono cupo e martellante dei tamburi, ha sottolineato gli ultimi istanti di vita dei fratelli veneziani.
Nel corso della rappresentazione è stata ricostruita anche parte del processo, con l’arringa dell’avvocato Cesare Marini, che ha tentato invano di strappare alla morte i congiurati, e l’ultimo, disperato saluto di Anna Marsich, madre dei fratelli Bandiera, giunta a Cosenza in incognito per vedere per l’ultima volta i propri figli.
Assai commovente, infine, il discorso di Attilio Bandiera che, rivolgendosi per l’ultima volta ai propri compagni, li ha consolati rassicurandoli sul fatto che il loro martirio sarebbe stato utile, più di ogni altra cosa, all’unità d’Italia. Altro momento clou della manifestazione è stato l’arrivo dei condannati sul luogo della fucilazione mentre cantavano il coro dell'opera di Mercadante Donna Caritea: “Chi per la patria muor vissuto è assai”.
La serata, si è conclusa con l’esibizione delle allieve delle scuole di danza del territorio, sostenitrici del progetto artistico-culturale nel suo complesso.